MCC, Codice Cicogna 2715, Fascicle 22, Unfoliated

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1624-01-01 (approximate)
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224r-229v
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Transcription - Plain
Della morte di Mahommetto Profeta de' Turchi Quel Principe de Profeti, Avocato de' Peccatori, sole d'ambe li mondi, e gloria delle cose create, il Divin Messagero Mehmmet Mustafà, pria[?] che secondo l'ordine del tremendo unico Iddio s'avicinasse al passo fatale, s'ammalò per quatordici giorni, nei quali si narra nel libro del giardin de gli avisi, che in colmo della sua malatia chiamò à se la serenissima sua fig.la Fatimè, à cui mostrati i segni della sua dilattione, e rivelate le cose invisibil, sotto voce profesì alcune parole, per le quali essa si rese lagrimosa. Indi soggionse altre, e le fece Cangiar la mestitia[?] in gioia. Quì la sua mogle Aiscè interrogò Fatimè, p[er] che cagion si fosse mostrata messa, e poi allegra? rispose essa, ò singolar signora, il nostro gran Profeta nel p[ri]mo ragionamento, mi avisò, che per avanti veniva una tal volta all'anno l'Angelo Gabriele à ritrovarlo, e quest' anno 224v gli è due fiate dal Ciel disceso, da che argomentò la vicinanza della sua morte, et il fine di sua vita: onde per quest' aviso rimanendo io sconsolata, egli mi disse, ò fig.la dilettisima, non si rammaricare, perche t'annontio due felicità, l'una che sarai egregia trà le donne del Paradiso, l'altra, che trà li miei verrai la prima à ritrovarmi. Et con questo duplicato felice annontio, quasi triaca alla venerosa amaritudine, in consolo, e veniò[?], commettendomi, che havessi patienza, et veramente se non vi fosse il rimedio della patientia, sarebbe cosa impossibile à sopportar gli affanni della lontananza dall'amato soggetto. Hora crescendo il malo del venerabil Profeta, i suoi fautori non potevano star i[n] pace, il che havendo esso petentito[?], disse à suo genero Alì, ò Alì, che cosa dicono i nostri fautori, e ei rispose, vanno dicendo, Dio guardi, che il nostro Profeta parta da questo mondo, perche se accaderà qualche sinistro, che giamai sarà 225r bastante di ripararlo? la dove levatosi il Profeta si trasferì alla Moschea, e p[er] publica grida fece convocar il popolo, à cui fatta una eloquentissima predica, cosi favellò, popolo mio salvo, la mia morte s'appropinqua; avvertite di non essere giamai lontani col cuore, se vi allontanerete col corpo, cosi come io non mi son mai dimenticato di voi, cosi anco voi non mi dimenticherete di mè. Nessuno delli profeti, ò mia gente, eternò in terra, e p[er] tanto anch' io debbo gustar il siropo della morte. Vi hò dato legge et hò teso à rendervi cospicui in bontà, con tutto che assai io habbia patito: adesso mi convien da voi partire, e chi da me pretende alcuna cosa, ò vuol la risolution d'alcun dubbio, si facci avanti, affine che io possa gir mondo et immaculato all'aspetto d'Iddio e non possa alcuno à quel tribunal Divino lamentarsi di me. Detto ciò, viene de gli ascoltanti uno, e disse, ò Nontio d'Iddio, tù mi sei debitore 225v di trè danari, immantemente fù ad Alì ordinato, che li esborsasse: dietro comparse un tal chiamato Vechiascè, dicendo, ò Divin messaggero, nel viaggio di Chandae volendo tù con la sforza batter il tuo camelo, percotesti con quella anco me, in modo che mi ritentij molto; hora pretendo sodisfattione, à cui il Profeta disse, Iddio ti dia bene, da poi che non rimettendo lo sodisfattione al di' del giuditio, quì la chiedesti: Quella sforza è in casa di Fatimè, và il mio Selman e portala: corse ei tantosto, e chiesela à Fatimè, la qual dimandò, che cosa il Profeta in tempo d'infermità volesse far della sforza, et intentendo il fatto, incontamente chiamò Chassan et Chussein, à quai favellò in total guisa, ò delle viscene mie parti più care, al vostro Nono è occorso un caso di giustitia, correte ivi, et in vece di lui ricevete la percossa della sforza. Venne alla Moschea Selman con Chassan e Chussein, et capitati che furono con la sforza 226r tutti quei congregati si misero à gemer, et à sagnarsi in maniera, che il grido arrivava al Cielo. Tutti con istanza pregarono Vecchiascè, che udisse perdonargli, e percotendo con la sforza loro, restassela percoter il gentil corpo del Divin Nontio, lo qual disse à quelle, non è conveniente, che voi per me riceviate la percossa à me debita. Quì Vechiascè disse, ò Messagger d'Iddio, quando io ricevei la botta, ero spogliato, però spogliati anco tù, p[er] il che trahendo di dotto le sue vesti, si riempiva l'aria di ringulti[?] e clamorrissato adunq[ue] nudo gli homeni il gran Profeta, Vechiascè, che voleva veder il sigillo Profetico sù quelle delicate carni impresso, di subito gli tolse dalle mani la sforza, esplicandosi, che due erano gli scopi della sua tenzone [trezone?], uno di far costar al mondo la sua eguità, e l'altra di baciar nuda la sua vita, della 226v qual disse il Nontio d'Iddio, che chi la toccò in questo mondo, non sentirà le fiamme dell'inferno nell'altro. Dopo che ritornato dalla Moschea il Profeta à casa nell'augumento della sua indispositione, in tempo che lo spinto suo nobilissimo ambiva di far passaggio dalla mondana pregione alla celeste patria, gli comparse l'Angelo Gabriele, che gli ragionò in questa guisa: Ò Divin Profeta, Il Creator dell'Universo ti saluta, e messe in suo libero arbitrio la morte, et la vita: se vuoi la vita, ti sia concessa, e se vuoi morire, morirei senza travaglio nesuno. Rispose egli, ò Gabriele, la volontà mia si muove sol secondo il beneplacito dell'altissimo Iddio, à cui con buona credenza mi son raccommandato. In questo mentre ordinò ad Ebubechir, che guidasse il popolo, come per ubidienza fece, havendolo guidato alla moschea, dove condottosi al luogo solito del Profeta, quei muri gli rappresentarono la sua sacra faccia 227r et commossero à pianger lui, et tutta la congregatione, che con le sue flebili voci interrotte ferì[?] gli orecchi del Profeta, il q[ua]le intendendo da Fatimè, che il Popolo si accorava per la sua partenza, si sforzò di venir fuori à consolarlo. Poi Alì gli disse, ò Nontio d'Iddio, io hò veduto in sogno, che havevo indosso un sacco, che mi fù anco levato: Ei così interpretò l'insogno; quell' armatura vuol inferir mè, che da tutti gli insulti t'hò sempre difeso, verrà tempo, che senza me sarai molto combattuto et afflitto, tuttavia non ti conturbar, ma stà sempre cosonante e costantemente sopporta. Indi Fatimè piangente disse ò Nontio Divino. Jo nel mio sogno hò veduto, che tenevo un foglio di carta in mano, che all'improviso mi è stato levato: Quel foglio, parlò il Profeta, son io, che sparirò da gli occhi tuoi. Poi Chassan, e Chussein dissero, ò felice nostr' Avo; noi anco in sogno habbiamo 227v veduto una lettica p[er] aria, sotto la qual noi caminavamo col capo scoperto. Ò amatissime parti del cuor mio, quella lettica è il mio cabiletto, sotto cui, voi haverete à grie [gire?]. Date queste interpretationi, gli venne[?] poscia un giorno l'Angelo Gabriele, e gli parlò, ammonendolo che stava alla porta sua felice l'Angelo della morte, il quale chiedeva licenza d'entrare, se ben mai la dimandò à nessun' huomo. Egli si contentò subito ch'entrasse in camera, ove quegli il salutò riverentemente, dicendogli, Iddio m'hà spedito à te, però che habbi riguardo alla tua contentezza: se mi vien da te permesso, torrò l'anima tua, e la trasporterò in Paradiso, se non mi ritornerò al mio adorato Creatore. Il Profeta si voltò verso Gabriele, il qual gli disse, ò Eccellentia della creature, l'altissimo Iddio è desideroso della tua bellezza lassù, et tutti li profetti sono cupidi delle tua 228r P[er]sona. Il Profeta cosi rispose alll'Angelo della morte, la spada della tua terribilita è il coltello dello stame di nostra vita. Non dimorar più à far l'uffitio tuo, poscia che anch' io tramo di veder quelle magior ensne[?]. Alcuni narrano, che all'Angelo della morte fù ordinato, che non fosse importuno à quell'anima nobilissima, la qual con buona licenza dovesse ricevere, onde l'Angelo della morte si stravestito da Arabo, e p[er]venuto al felice Serraglio Profetico, dimandò licenza alla porta d'entrare, dove trovatasi Fatime, gli rispose, ò Arabo adesso il Nontio Divino è indisposto, e non è possibile di abboccarsi con esso. Dopo molte importune istanze, ne diede Fatimè conto al Profeta, che le disse, sai ò Fatimè chi sia quell'Arabo tanto sollecito? Fatimè rispose, Iddio il sà. Et il suo Profeta. Allhora ei le rivelò, che 228v Quell'Arabo è il troncator de i gusti, il separator delle compagnie, l'Angelo della morte, il q[u]ale è venuto à tor lo spirito mio, et ad esso non è chiusa porta veruna, se ben à me, come à Profeta hà mostrato termini di humiltà. À che piangendo e lagrimando Fatimè, il Profeta p[er] sua consolatione le insegnò, che dovesse ripetir più fiate questa notitia [patientia?]: tutti noi siamo nati p[er] Dio, et ad esso habbiamo à ritornare. Al sia entrò nella forma d'Arabo l'Angelo della morte, e così espose, salve ò gran Profeta, Iddio si saluta, et mi hà commandato, che venga à tor lo spirito tuo: hor tù che comandi? Il Profeta risposegli, desidero da te che aspetti sia che venga mio fr[at]ello l'Angelo Gabriele. Sia fatto soggionse l'Angelo della morte, il tuo comandamento. Frà tanto da parte d'Iddio fù ordinato, che si adornassero i paggi, e le Dive del Cielo, che li demonij infernali fermasero quel fuogo, 229r e nascondessero quei mostri, e che i cori de' beati, e le Gerarchie de gli Angioli fossero preparati ad incontrar con celesti lumi l'anima di Mehemmet. Adempite che hebbe tutte queste commissioni Gabriele, apparve à Mehemmet, il qual gli disse, ò fr[at]ello p[er] q[ua]l cagione in questo stato m'abbandoni? Gabriel gli rispose, sono stato sin' hora applicato in tuo servitio, havendogli raccontato il prenarrato preparo. Il Profeta disse questi annontij son buoni, ma ne vorria di migliori. Gabriel soggionse, certo è in oltre, che tu il giorno del giuditio haverai la preminenza, e la precedenza trà tutti, e sarai intercessor di gratie, et impetrator di misericordia. Questo è buono, ma di meglio, ò Tesoriere della sapienza, ò dispositario della Profetia quale è lo scopo tuo? Rispose Mehemmet: Jo penso al mio popolo, al q[ua]le dopo me 229v come giamai saverà ben risolver i dubbij, interpretar i testi allegorici, scelger il bene dal male, e veder i bisogni della legge, e della fede salutifera. Ò Gran Profeta, Tutte le colpe gli saranno il dì del giuditio da Dio p[er] tua intercessione rimesse e p[er]donate, si che resterai allhora pago e contento, et cosi ristato sodisfatto il Profeta, chiamò l'Angelo della morte à torgli la gentilissima anima sua, il q[ua]le attendendo al suo ministerio, attendeva anco il Nontio Divino à dire, ò altissimo Iddio, con le q[u]al parole passò felicemente all'eternità del mondo superiore. Volato è quel Pavon del santo nido, Sen giù quel Rè d'altero nome e grido Ò di restarci sempre vivo quà Possibil fosse stato à Mustafà. Cavato dal libro, che intitolano i Turchi le vite dei santi Padri e Martiri, trà qu[a]li sono Chassan, e Chussein, et altri Gio: Batt[ist]a Salvago traduceso
Gregorian Date Qualifier
Schema Type
Manuscript
Identifier
61220/utsc69227
Local Identifier
doc_dragoman_venetian_archive_357
Notes for Dragoman Team
"Della morte di Mahommetto Profeta de' Turchi" "Cavata dal libro, che intitolano i Turchi le vite de i santi Padri e Martiri, trà q'ali sono Chassan, e Chussein, et altri." Gio: Batt'a Slvago traduceva
Gregorian Date (RAD)
1/1/1624
Reformatting Quality
preservation
Digital Origin
reformatted digital
Internet Media Type
Cataloguing Language
Transcription
Della morte di Mahommetto Profeta de' Turchi Quel Principe de Profeti, Avocato de' Peccatori, sole d'ambe li mondi, e gloria delle cose create, il Divin Messagero Mehmmet Mustafà, pria[?] che secondo l'ordine del tremendo unico Iddio s'avicinasse al passo fatale, s'ammalò per quatordici giorni, nei quali si narra nel libro del giardin de gli avisi, che in colmo della sua malatia chiamò à se la serenissima sua fig.la Fatimè, à cui mostrati i segni della sua dilattione, e rivelate le cose invisibil, sotto voce profesì alcune parole, per le quali essa si rese lagrimosa. Indi soggionse altre, e le fece Cangiar la mestitia[?] in gioia. Quì la sua mogle Aiscè interrogò Fatimè, p[er] che cagion si fosse mostrata messa, e poi allegra? rispose essa, ò singolar signora, il nostro gran Profeta nel p[ri]mo ragionamento, mi avisò, che per avanti veniva una tal volta all'anno l'Angelo Gabriele à ritrovarlo, e quest' anno 224v gli è due fiate dal Ciel disceso, da che argomentò la vicinanza della sua morte, et il fine di sua vita: onde per quest' aviso rimanendo io sconsolata, egli mi disse, ò fig.la dilettisima, non si rammaricare, perche t'annontio due felicità, l'una che sarai egregia trà le donne del Paradiso, l'altra, che trà li miei verrai la prima à ritrovarmi. Et con questo duplicato felice annontio, quasi triaca alla venerosa amaritudine, in consolo, e veniò[?], commettendomi, che havessi patienza, et veramente se non vi fosse il rimedio della patientia, sarebbe cosa impossibile à sopportar gli affanni della lontananza dall'amato soggetto. Hora crescendo il malo del venerabil Profeta, i suoi fautori non potevano star i[n] pace, il che havendo esso petentito[?], disse à suo genero Alì, ò Alì, che cosa dicono i nostri fautori, e ei rispose, vanno dicendo, Dio guardi, che il nostro Profeta parta da questo mondo, perche se accaderà qualche sinistro, che giamai sarà 225r bastante di ripararlo? la dove levatosi il Profeta si trasferì alla Moschea, e p[er] publica grida fece convocar il popolo, à cui fatta una eloquentissima predica, cosi favellò, popolo mio salvo, la mia morte s'appropinqua; avvertite di non essere giamai lontani col cuore, se vi allontanerete col corpo, cosi come io non mi son mai dimenticato di voi, cosi anco voi non mi dimenticherete di mè. Nessuno delli profeti, ò mia gente, eternò in terra, e p[er] tanto anch' io debbo gustar il siropo della morte. Vi hò dato legge et hò teso à rendervi cospicui in bontà, con tutto che assai io habbia patito: adesso mi convien da voi partire, e chi da me pretende alcuna cosa, ò vuol la risolution d'alcun dubbio, si facci avanti, affine che io possa gir mondo et immaculato all'aspetto d'Iddio e non possa alcuno à quel tribunal Divino lamentarsi di me. Detto ciò, viene de gli ascoltanti uno, e disse, ò Nontio d'Iddio, tù mi sei debitore 225v di trè danari, immantemente fù ad Alì ordinato, che li esborsasse: dietro comparse un tal chiamato Vechiascè, dicendo, ò Divin messaggero, nel viaggio di Chandae volendo tù con la sforza batter il tuo camelo, percotesti con quella anco me, in modo che mi ritentij molto; hora pretendo sodisfattione, à cui il Profeta disse, Iddio ti dia bene, da poi che non rimettendo lo sodisfattione al di' del giuditio, quì la chiedesti: Quella sforza è in casa di Fatimè, và il mio Selman e portala: corse ei tantosto, e chiesela à Fatimè, la qual dimandò, che cosa il Profeta in tempo d'infermità volesse far della sforza, et intentendo il fatto, incontamente chiamò Chassan et Chussein, à quai favellò in total guisa, ò delle viscene mie parti più care, al vostro Nono è occorso un caso di giustitia, correte ivi, et in vece di lui ricevete la percossa della sforza. Venne alla Moschea Selman con Chassan e Chussein, et capitati che furono con la sforza 226r tutti quei congregati si misero à gemer, et à sagnarsi in maniera, che il grido arrivava al Cielo. Tutti con istanza pregarono Vecchiascè, che udisse perdonargli, e percotendo con la sforza loro, restassela percoter il gentil corpo del Divin Nontio, lo qual disse à quelle, non è conveniente, che voi per me riceviate la percossa à me debita. Quì Vechiascè disse, ò Messagger d'Iddio, quando io ricevei la botta, ero spogliato, però spogliati anco tù, p[er] il che trahendo di dotto le sue vesti, si riempiva l'aria di ringulti[?] e clamorrissato adunq[ue] nudo gli homeni il gran Profeta, Vechiascè, che voleva veder il sigillo Profetico sù quelle delicate carni impresso, di subito gli tolse dalle mani la sforza, esplicandosi, che due erano gli scopi della sua tenzone [trezone?], uno di far costar al mondo la sua eguità, e l'altra di baciar nuda la sua vita, della 226v qual disse il Nontio d'Iddio, che chi la toccò in questo mondo, non sentirà le fiamme dell'inferno nell'altro. Dopo che ritornato dalla Moschea il Profeta à casa nell'augumento della sua indispositione, in tempo che lo spinto suo nobilissimo ambiva di far passaggio dalla mondana pregione alla celeste patria, gli comparse l'Angelo Gabriele, che gli ragionò in questa guisa: Ò Divin Profeta, Il Creator dell'Universo ti saluta, e messe in suo libero arbitrio la morte, et la vita: se vuoi la vita, ti sia concessa, e se vuoi morire, morirei senza travaglio nesuno. Rispose egli, ò Gabriele, la volontà mia si muove sol secondo il beneplacito dell'altissimo Iddio, à cui con buona credenza mi son raccommandato. In questo mentre ordinò ad Ebubechir, che guidasse il popolo, come per ubidienza fece, havendolo guidato alla moschea, dove condottosi al luogo solito del Profeta, quei muri gli rappresentarono la sua sacra faccia 227r et commossero à pianger lui, et tutta la congregatione, che con le sue flebili voci interrotte ferì[?] gli orecchi del Profeta, il q[ua]le intendendo da Fatimè, che il Popolo si accorava per la sua partenza, si sforzò di venir fuori à consolarlo. Poi Alì gli disse, ò Nontio d'Iddio, io hò veduto in sogno, che havevo indosso un sacco, che mi fù anco levato: Ei così interpretò l'insogno; quell' armatura vuol inferir mè, che da tutti gli insulti t'hò sempre difeso, verrà tempo, che senza me sarai molto combattuto et afflitto, tuttavia non ti conturbar, ma stà sempre cosonante e costantemente sopporta. Indi Fatimè piangente disse ò Nontio Divino. Jo nel mio sogno hò veduto, che tenevo un foglio di carta in mano, che all'improviso mi è stato levato: Quel foglio, parlò il Profeta, son io, che sparirò da gli occhi tuoi. Poi Chassan, e Chussein dissero, ò felice nostr' Avo; noi anco in sogno habbiamo 227v veduto una lettica p[er] aria, sotto la qual noi caminavamo col capo scoperto. Ò amatissime parti del cuor mio, quella lettica è il mio cabiletto, sotto cui, voi haverete à grie [gire?]. Date queste interpretationi, gli venne[?] poscia un giorno l'Angelo Gabriele, e gli parlò, ammonendolo che stava alla porta sua felice l'Angelo della morte, il quale chiedeva licenza d'entrare, se ben mai la dimandò à nessun' huomo. Egli si contentò subito ch'entrasse in camera, ove quegli il salutò riverentemente, dicendogli, Iddio m'hà spedito à te, però che habbi riguardo alla tua contentezza: se mi vien da te permesso, torrò l'anima tua, e la trasporterò in Paradiso, se non mi ritornerò al mio adorato Creatore. Il Profeta si voltò verso Gabriele, il qual gli disse, ò Eccellentia della creature, l'altissimo Iddio è desideroso della tua bellezza lassù, et tutti li profetti sono cupidi delle tua 228r P[er]sona. Il Profeta cosi rispose alll'Angelo della morte, la spada della tua terribilita è il coltello dello stame di nostra vita. Non dimorar più à far l'uffitio tuo, poscia che anch' io tramo di veder quelle magior ensne[?]. Alcuni narrano, che all'Angelo della morte fù ordinato, che non fosse importuno à quell'anima nobilissima, la qual con buona licenza dovesse ricevere, onde l'Angelo della morte si stravestito da Arabo, e p[er]venuto al felice Serraglio Profetico, dimandò licenza alla porta d'entrare, dove trovatasi Fatime, gli rispose, ò Arabo adesso il Nontio Divino è indisposto, e non è possibile di abboccarsi con esso. Dopo molte importune istanze, ne diede Fatimè conto al Profeta, che le disse, sai ò Fatimè chi sia quell'Arabo tanto sollecito? Fatimè rispose, Iddio il sà. Et il suo Profeta. Allhora ei le rivelò, che 228v Quell'Arabo è il troncator de i gusti, il separator delle compagnie, l'Angelo della morte, il q[u]ale è venuto à tor lo spirito mio, et ad esso non è chiusa porta veruna, se ben à me, come à Profeta hà mostrato termini di humiltà. À che piangendo e lagrimando Fatimè, il Profeta p[er] sua consolatione le insegnò, che dovesse ripetir più fiate questa notitia [patientia?]: tutti noi siamo nati p[er] Dio, et ad esso habbiamo à ritornare. Al sia entrò nella forma d'Arabo l'Angelo della morte, e così espose, salve ò gran Profeta, Iddio si saluta, et mi hà commandato, che venga à tor lo spirito tuo: hor tù che comandi? Il Profeta risposegli, desidero da te che aspetti sia che venga mio fr[at]ello l'Angelo Gabriele. Sia fatto soggionse l'Angelo della morte, il tuo comandamento. Frà tanto da parte d'Iddio fù ordinato, che si adornassero i paggi, e le Dive del Cielo, che li demonij infernali fermasero quel fuogo, 229r e nascondessero quei mostri, e che i cori de' beati, e le Gerarchie de gli Angioli fossero preparati ad incontrar con celesti lumi l'anima di Mehemmet. Adempite che hebbe tutte queste commissioni Gabriele, apparve à Mehemmet, il qual gli disse, ò fr[at]ello p[er] q[ua]l cagione in questo stato m'abbandoni? Gabriel gli rispose, sono stato sin' hora applicato in tuo servitio, havendogli raccontato il prenarrato preparo. Il Profeta disse questi annontij son buoni, ma ne vorria di migliori. Gabriel soggionse, certo è in oltre, che tu il giorno del giuditio haverai la preminenza, e la precedenza trà tutti, e sarai intercessor di gratie, et impetrator di misericordia. Questo è buono, ma di meglio, ò Tesoriere della sapienza, ò dispositario della Profetia quale è lo scopo tuo? Rispose Mehemmet: Jo penso al mio popolo, al q[ua]le dopo me 229v come giamai saverà ben risolver i dubbij, interpretar i testi allegorici, scelger il bene dal male, e veder i bisogni della legge, e della fede salutifera. Ò Gran Profeta, Tutte le colpe gli saranno il dì del giuditio da Dio p[er] tua intercessione rimesse e p[er]donate, si che resterai allhora pago e contento, et cosi ristato sodisfatto il Profeta, chiamò l'Angelo della morte à torgli la gentilissima anima sua, il q[ua]le attendendo al suo ministerio, attendeva anco il Nontio Divino à dire, ò altissimo Iddio, con le q[u]al parole passò felicemente all'eternità del mondo superiore. Volato è quel Pavon del santo nido, Sen giù quel Rè d'altero nome e grido Ò di restarci sempre vivo quà Possibil fosse stato à Mustafà. Cavato dal libro, che intitolano i Turchi le vite dei santi Padri e Martiri, trà qu[a]li sono Chassan, e Chussein, et altri Gio: Batt[ist]a Salvago traduceso